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Experience design: mindset, metodologie e discipline al servizio della customer centricity

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L’Experience Design è la fusione di una serie di metodologie di design atte a massimizzare la qualità e l’efficacia del livello di coinvolgimento e soddisfazione che l’utente trae da un prodotto o servizio progettato per lui. Elemento portante di questa pratica è la pertinenza dell’esperienza con le reali esigenze di ogni cliente e con il suo percepito per identificare obiettivi e direzioni progettuali che agiscano da ponte tra il business e le persone.

Customer centricity: l’approccio dell’ascolto

Prima di mettere mano a un progetto che mette il consumatore al centro è necessario abilitare una serie di attività (e di skills) che permettano di ascoltare realmente e da vicino i propri clienti. Capire un cliente non dipende solo da cosa lui chieda in termini di servizio o di prodotto. Parte integrante della sua soddisfazione e fidelizzazione a un brand consiste nella qualità dell’esperienza che un cliente vive nella sua interazione quotidiana con lui. Un’interazione che va progettata tenendo conto di tutta una serie complessa di fattori emozionali e valoriali, polarizzati su quattro direttrici:

  • Necessità
  • Desiderabilità
  • Usabilità
  • Estetica

Experience Design: una disciplina eterogenea

Dal punto di vista del metodo, l’Experience Design (o User Experience Design) è una disciplina complessa ed estremamente eterogenea, che progetta il customer journey partendo da un approccio incentrato sull’utente finale, applicando le più avanzate metodologie di Design Thinking e Service Design, innescando con il cliente (brand) un processo di co-creazione e testing iterativo.

Spesso le aziende ci coinvolgono per attività di estremamente puntuali come, ad esempio, il restyling di un sito o il design di una nuova app – spiega Luca Lanza, Strategic Design Director di Kettydo+. Noi prima di tutto li aiutiamo a capire come il cuore del problema e della necessità espressa non si limitino al solo restyling del servizio, riprogettandone la semantica, i cromatismi o i soli elementi di interazione finale. La criticità sta nel fatto che, troppo frequentemente, il servizio erogato non risulta correttamente sincronizzato con le aspettative dei clienti a cui si rivolge. L’Experience Design ha come compito primario quello di gestire il bilanciamento tra aspettative e bisogni. Per questo preferiamo partire da un approccio design-led, applicando metodologie di Design Thinking e chiamando a un tavolo congiunto tutti gli stakeholder del progetto: marketing, business, customer care, sales, IT e via dicendo. È fondamentale creare un forte legame progettuale tra tutte le persone coinvolte nella scelta innovativa per identificare insieme e in modo condiviso il vero cuore del problema e tradurlo in una serie di addressed solutions pertinenti e realmente funzionali, trasformando decisioni implicite in scelte condivise e consapevolmente esplicite. Si tratta di tavoli progettuali guidati dal nostro team di esperti di design strategico e service design, in cui lo scopo finale è quello di arrivare a soluzioni concrete, pertinenti e azionabili. Il tutto sezionando, sotto tutti i diversi punti di vista, il perimetro progettuale per erogare il massimo livello di creatività e collaborazione possibile. Lasciando alla porta i fardelli limitanti delle job titles e dei ruoli gerarchici, in un contesto in cui il mio punto di vista vale come il tuo, e quello vincente sarà la perfetta sommatoria ponderata dell’insieme dei punti di vista del gruppo, validati attentamente in base all’analisi critica di obiettivi e vincoli”.

Experience-design-by-Kettydo+Il Design Thinking è la chiave dell’Experience Design

Il punto di partenza dell’Experience Design è capire che in ogni esperienza ci sono aspetti di natura intangibile che rendono difficile conoscere di che cosa deve tenere conto la progettazione. La conseguenza è che spesso si confonde l’Experience Design con altri campi come, ad esempio, il design dell’interfaccia utente, il design del servizio o il design del prodotto.

La metodologia del Design Thinking permette innanzitutto di creare un pensiero collettivo e collaborativo, che superi i limiti imposti dai singoli punti di vista o dai bias cognitivi di ciascuno stakeholder. Inoltre, consente ai professionisti coinvolti nel processo decisionale di vestire i panni del co-designer, entrando quindi in una dimensione più empirica e pratica che permette di esplorare lo spazio reale del problema. Una metodologia basata sull’alternanza tra fasi divergenti, che contribuiscono a creare le opzioni di scelta mediante il processo creativo, e fasi convergenti, capaci di facilitare le decisioni mediante un pensiero analitico e sistematico.

Questi due modi di pensare vengono utilizzati per riconsiderare e ri-definire il problema iniziale, inserendolo all’interno di una nuova cornice che permetta di analizzarlo con chiarezza e trovare la soluzione ad esso più pertinente. Questo proietta il lavoro degli experience designer su un processo a tre dimensioni:

  • Iterativo:

    identificare e risolvere le sfide del design attraverso cicli di creatività e ricerca delle esigenze di ogni utente

  • Collaborativo:

    coinvolgere nel processo di progettazione work in progress gli specialisti di varie discipline di progettazione e non, unitamente a tutti gli stakeholder del progetto e a un panel di utenti finali che si prestano alle attività di testing e fine tuning

  • Misurabile:

    identificare i risultati sia fisici che emotivi dell’esperienza progettata, misurando e ponderando il successo rispetto agli obiettivi prefissati

 

Oggi tutte le aziende parlano più o meno consapevolmente di innovazione- ribadisce Luca Lanza, Strategic Design Director di Kettydo+. Talvolta quando lo fanno rischiano tuttavia di incappare nell’insidia di concentrarsi prettamente sugli aspetti tecnologici che sorreggono il concetto stesso di innovazione, perdendo di vista il fatto che l’innovazione è la perfetta fusione tra creatività ed implementazione, e che proprio nella sommatoria bilanciata di questi due elementi i suoi risultati si esplicano al meglio. Progettare un’esperienza vincente, pertinente e gratificante per l’utente significa infatti triangolare innovazione emozionale, innovazione funzionale e innovazione di processo, governando la dimensione della persona, la dimensione tecnologica e la dimensione di business in un perfetto mix di pensiero creativo e technological feasibility. L’Experience Design mette a sistema desiderabilità, fattibilità e redditività per costruire un progetto di senso e di valore per tutti, capace di essere recepito a prescindere dalla tecnologia che lo abilita, che deve essere capace di diventare quasi trasparente e impercettibile nei confronti del risultato finale. Proprio perché è un fattore abilitante, non un protagonista in scena. All’utente il più delle volte non importa sapere che hai utilizzato una tecnologia avveniristica piuttosto che un’altra. Gli interessa che l’esperienza funzioni bene, sia semplice e possibilmente memorabile”.

Approccio MVP: prioritizzare per abilitare vantaggi per il business e vantaggi per il cliente

Un Experience Design vincente si ottiene quindi attraverso un processo iterativo di raccolta dati, analisi ed apprendimento, generazione di idee, prototipazione e test. Queste fasi si riassumono bene negli step progettuali tipici del Design thinking: Empathize, Define, Design e Test.

Experience DesignQuesto percorso ci permette di ottenere un nuovo punto di vista sul contesto di riferimento e di trasformare una serie di problematiche e bisogni spesso poco definiti in un chiaro perimetro progettuale (issue reframing).
Soltanto una volta capiti i reali problemi e ridefiniti i veri bisogni, siamo pronti per attribuire ad essi una serie di pesi e misure, in base alla loro relazione con obiettivi di business e obiettivi strategici. Quanto più un problema affligge uno di questi obiettivi, tanto più il bisogno di risolverlo è alto, e in questo modo otteniamo una matrice di priorità preliminare. A questo punto è possibile proiettare nuovamente queste priorità verso parametri di fattibilità (come ad esempio: complessità di implementazione, impatto economico, impatto organizzativo) e parametri di appetibilità (come ad esempio: rilevanza per l’utente finale, rilevanza per il business). Questo ci porta al raggiungimento di una vera e propria priority map, in cui gli elementi più appetibili, e nel contempo fattibili, risultano essere le prime attività da rendere azionabili. Questo approccio ci permette di testare velocemente una soluzione, intravedere gli ostacoli lungo il percorso e diminuire così i rischi di fallimento, sempre mantenendo costante il valore percepito dagli utenti finali.
In altre parole, si tratta di dare vita un MVP (minimum viable product), ovvero, una versione iniziale di un prodotto/servizio comprendente un set di funzionalità minime (definite e validate a valle di un processo di co-generation) che vanno a evolversi gradualmente con versioni successive più complete.

Progettare un MVP non significa rilasciare velocemente un prodotto che non abbia valore. Al contrario, l’MVP deve rappresentare il core della value proposition che meglio risponde alle priorità emerse dalla fase di design strategico precedente.

Si usa spesso, per definire questo processo, una metafora molto chiara e immediata: quella della ciambella senza glassa rispetto a quella con la glassa e gli zuccherini ornamentali.

A dispetto del valore aggiunto della seconda, la prima ciambella ha già tutte le caratteristiche minime richieste dal consumatore: è soffice, dolce e facile da mangiare. Perciò può essere subito distribuita e consumata, il che ci permetterà di raccogliere i feedback dei nostri consumatori, utili per arrivare gradualmente ad un prodotto completo, attraverso cicli iterativi di build, measure e learn in cui il feedback stesso dell’utente ci fornirà importanti spunti di miglioramento evolutivo.

Questo approccio abilita vantaggi tangibili sia lato consumer che lato business.

  • Vantaggi lato Consumer: capiamo come prioritizzare le caratteristiche al fine di dare valore alla customer experience, evitando di contaminare la distribuzione finale con troppe funzionalità che potrebbero essere percepite in prima fase di acceptance come rumore, privilegiando un rilascio graduale e validato di nuovi elementi esperenziali.
  • Vantaggi lato Business: distribuire i rilasci lungo una timeline implementativa che segmenta il budget in piccoli investimenti misurati e ponderati, risparmiando e riducendo i rischi dovuti ad implementazioni massive, e abilitando un processo lean di investimenti commisurati al feedback dell’utente finale, senza per questo sacrificare un go-to-market veloce e tempestivo.

L’Experience Design richiede attività di analisi, competenze trasversali e un mindset proiettato verso la co-creazione e il coinvolgimento di tutti gli stakeholder progettuali – conclude Jessica Bombelli, Team Leader UX di Kettydo+ –. È fondamentale creare una forte empatia con l’end user e così come con gli stakeholder progettuali: solo così è possibile comprendere le motivazioni, gli obiettivi, le percezioni e le esperienze degli utenti e perimetrare l’ambito del design, per identificare obiettivi e direzioni progettuali che agiscano da ponte tra il business e le persone dando vita a MVP di successo, misurabili e in costante evoluzione positiva”.

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